Seconda parte
Come si dice? Eravamo forse felici e non lo sapevamo? Certo è che arrivati alla girata degli anni ‘90 la musica, chiamiamola così, non mainstream ebbe una stagione di magnifica fioritura. Ormai si era consolidato un pubblico interessato alle musiche di tradizione o, se vi piace chiamarla così, world music e nuovi fenomeni globali si imposero. Vediamone qualcuno.
Goran Bregović, musicista e compositore bosniaco, dopo una lunga militanza in gruppi come i Kodeksi o i Bijelo Dugme che furono il gruppo più famoso nella Jugoslavia degli anni ‘60 e ‘70, ottenne popolarità mondiale per la colonna sonora del film “Il tempo dei gitani” di Emir Kusturica e forse ancor di più per “Underground” sempre di Kusturica. Veniva così alla ribalta la musica balcanica e zigana che è stata fra le più programmate nei festival di musica etnica.
Un altro importante fenomeno mondiale fu quello di Buena Vista Social Club. Si tratta di un progetto della etichetta World Circuit Records, curato dal chitarrista Ry Cooder in veste di produttore. Il nome è lo stesso dell'omonimo storico locale che si trovava nel quartiere Buenavista di L'Avana, dove era in voga la musica popolare cubana neglianni quaranta. Per riprodurre gli stili musicali dell'epoca, come il son cubano, bolero e danzón, furono reclutati una dozzina di musicisti dell'epoca, di cui molti si erano ritirati dalle scene da tempo.
Tutto questo si nutriva di, e allo stesso tempo generava, un pubblico solido e gli anni ‘90 videro la fioritura dei festival world. Anche da noi a Napoli nascevano importanti rassegne. “Lo sguardo di Ulisse”, “Ethnos”, “Leuciana festival” e altre manifestazioni portavano da noi grandi nomi e il pubblico rispondeva numeroso. Io avevo nel frattempo iniziato a lavorare seriamente con la musica e sono stato il fonico residente di molti di questi eventi. Rimangono fra i ricordi più belli di una carriera ormai trentennale sia per la qualità della musica sia per il clima di quel periodo.
Nel frattempo suonavo col gruppo rock dei Gatti Distratti, in cui infilavo le sonorità dei miei strumenti e strumentini, mandolino, flautini e quant’altro.
Continuavano anche le contaminazioni world da parte di rockstar: verso la metà degli anni ‘90 Robert Plant e Jimmy Page realizzarono un tour mondiale insieme a un’orchestra orientale in cui rivisitavano in chiave world alcuni dei classici degli Zeppelin. Sarà perchè ho amato molto i Led Zeppelin ma a me questa operazione è piaciuta: mi è sembrata onesta e con una reale voglia di mettersi in gioco con musicisti di altre tradizioni.
Verso la fine del decennio Sting pubblicò il singolo Desert rose con la partecipazione del cantante algerino Cheb Mami. Il brano è il perfetto esempio di world music al servizio del grande pop internazionale.
E visto che stiamo parlando di pop non possiamo non citare la regina del pop internazionale di quegli anni, Madonna, che sfoderava influenze world, nella musica e ancor più nel look, nel suo Frozen.
Anche in Italia influenze world entravano a far parte a pieno titolo dei linguaggi pop: un esempio è Pino Mango, col suo pop raffinato. E’ interessante notare che se cercate la musica di Mango su Amazon.com la trovate sotto World music...
E ci sarebbero vari esempi ma forse le cose più interessanti accadevano dalle nostre parti.
Se in un primo momento, dagli anni ‘70 in poi, la diffusione delle tradizioni musicali popolari campane era stato appannaggio di esperienze come quelle della Nuova Compagnia di Canto Popolare o Musica Nova che si ponevano in un'ottica di studio e rielaborazione del materiale popolare attraverso un’operazione culturale e intellettuale (mentre differente è l’approccio del gruppo operaio E’ Zezi, ma ne parleremo a parte), è solo dagli anni ‘90 che comincia ad allargarsi l’interesse verso gli eredi diretti di quelle tradizioni. Si tratta quasi sempre di musicisti non professionisti, suonatori e cantatori delle feste popolari e religiose campane. Forse il merito di questo nuovo interesse da parte della gioventù, anche urbana, per le tammurriate è anche dei festival di cui parlavo prima. Lo sguardo di Ulisse, per esempio, ha ospitato per vari anni nella sua programmazione un appuntamento annuale chiamato “O’ folk” in cui chiamava a raccolta i più importanti interpreti popolari delle tammurriate in una kermesse della durata di varie ore con una straordinaria partecipazione di pubblico. Ricordo in particolare una serata all’arenile di Bagnoli, infinita ed estenuante per me come fonico, che fu un vero e proprio rave con niente da invidiare al bellissimo concerto della Kocani orkestar di qualche giorno prima nello stesso posto. Nasceva il “popolo della tammorra” e con esso un'infinità di nuove formazioni che proponevano musica popolare. Non so quanti cd di gruppi popolari di nuova formazione avrei registrato negli anni successivi nel mio studio. Il tutto non senza polemiche con i detentori delle tradizioni locali che vedevano imbastardito il loro patrimonio, senza essere però spesso esenti da un geloso e rigido protezionismo.
Tutto questo, da noi, si intrecciava con quello che probabilmente è il più importante fenomeno musicale del periodo e che dagli anni ‘90 ad oggi ha influenzato più di ogni altro la musica nel mondo: l’hip hop. Con alle spalle una storia che è possibile far risalire ai Griot (musicisti viaggiatori e poeti) dell’Africa occidentale arrivati come schiavi in America, al soul e al funk, con l’innesto del dub giamaicano, la cultura hip hop esplode anche da noi negli anni ‘90. E due sono a Napoli i nomi imprescindibili di questo fenomeno: 99 Posse e Almamegretta. Non farò qui la storia di queste formazioni ma mi interessa dire che mentre da un punto di vista musicale si rifacevano agli stili e alle tecniche (campionamento, elettronica, cantato rap) del fenomeno hip hop globale, culturalmente era sicuramente forte il richiamo alle tradizioni del sud Italia e sicuramente si può dire che il pubblico di queste formazioni e il “popolo della tammorra” di cui ho parlato prima erano sovrapponibili. In particolare gli Almamegretta usarono nelle loro canzoni voci di cantatori popolari e ritmi di tammurriata sovrapposti alle loro basi dub.
E riguardo i 99 Posse vi propongo questo brano dei Zezi e Luca O’ Zulù dei 99 che ho registrato e prodotto per il disco dei Zezi “Diavule a quatto” e che è un bellissimo esempio di come rap e musica tradizionale possano convivere (e ha anche un testo attualissimo).
Volevo cavarmela in due puntate con questo mio racconto sulle musica tradizionale, popolare, o world music o come volete chiamarla, filtrate attraverso le mie esperienze dirette di “operatore del settore” ma vedo che strada facendo mi vengono in mente nuove cose e allungo il brodo. E quindi per ora mi fermo qui e vi do appuntamento alla prossima volta dove vi racconterò di uno dei più controversi “affaire” della storia della musica popolare campana… à bientôt!
Massimo D'Avanzo è un musicista e tecnico del suono. Appassionato di strumenti musicali tradizionali di cui possiede un'ampia collezione e che ora utilizza nei WUM
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